"Vogliamo sostenere tutti gli artisti, per avere pari diritti": teatro.it intervista Giorgio Marchesi e Fabrizia Sacchi del direttivo dell'Associazione UNITA.
Sono mesi molto difficili per i lavoratori dello spettacolo, molti senza lavoro da oltre un anno e con sostegni inadeguati. Abbiamo incontrato in questa diretta Facebook Giorgio Marchesi e Fabrizia Sacchi, membri del direttivo di U.N.I.T.A, l'Associazione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo fondata da più di 100 interpreti del teatro e dell’audiovisivo che conta già 1300 iscritti, per sostenere e promuovere la centralità del mestiere dell’attore all’interno del panorama artistico e culturale.
Manifestazione dei lavori, riapertura teatri e riconoscimento giuridico del lavoratore dello spettacolo sono fra i temi che abbiamo discusso con loro, e che la stessa Associazione ha trattato ampiamente durante gli incontri con la Direzione Generale dello Spettacolo dal Vivo e con il Mibac.
Partiamo dalla vostra presenza di sabato 17 alla manifestazione Bauli in piazza
Fabrizia: E’ stato un incontro che è maturato già da prima, da relazioni che avevamo intrecciato da mesi anche con l’Associazione LA MUSICA CHE GIRA che rappresenta i musicisti (Mannoia, Manuel Agnelli, Emma, Diodati, Alessandra Amoroso e molti altri, anche non noti) per riconoscersi come categoria. E ci siamo trovati in piazza per le stesse istanze. Perché, diciamoci la verità, coi tecnici abbiamo un rapporto strettissimo, perché quando arriviamo in teatro il “nostro” palcoscenico ce lo preparano loro, iniziando a lavorare prima, durante e dopo lo spettacolo. Un lavoro enorme e fondamentale.
Unita: il nome può significare anche la volontà di aggregare gli artisti, qualcosa che finora è sempre mancato?
Giorgio: Questo è sicuramente uno dei nostri obiettivi. UNITA tra l’altro ha come titolo “Diverse interpretazioni, uguali diritti”. Questo vale anche al nostro interno, per la differenza di attori che hanno partecipato e che sono nostri associati perché oltre a degli associati molto importanti, famosi, che lavorano nell’audiovisivo, ci sono moltissimi altri attori meno visibili che lavorano magari di più a teatro. Quindi già all’interno degli interpreti era importante trovare unità di intenti. Un prodotto artistico è frutto del lavoro di tutti, sia del ruolo principale che del ruolo secondario.
La nostra presenza in piazza (con Bauli in Piazza del 17 aprile 2020, ndr) è proprio per dare un’idea di unità di tutto il settore. Perché, come dice giustamente Fabrizia, noi con i tecnici ci lavoriamo quotidianamente. Questo settore è stato dimenticato per molto tempo, quindi questa è l’occasione veramente per poterlo in qualche modo cambiare.
State avendo delle interlocuzioni istituzionali ma state anche partecipando a manifestazioni pubbliche, secondo voi in Italia come si ottiene di più qualcosa, alzando la voce o in maniera diplomatica?
Giorgio: Io credo sinceramente che bisogna farsi sentire per ricordare che esistiamo, quindi secondo me serve una parte di protesta, che non deve essere distruttiva, non credo che abbia senso. L’obiettivo di UNITA è quello di farsi ascoltare perché la specificità del nostro lavoro la conosciamo soltanto noi lavoratori. UNITA potrebbe essere veramente una risorsa in questo senso. Il nostro tentativo è di collaborazione, ma nel momento in cui non ci ascoltano ovviamente un po’ alziamo la voce.
Parliamo delle proposte di legge in discussione.
Fabrizia: Ci sono 6/7 proposte di legge sul riconoscimento giuridico del lavoratore dello spettacolo. C’è una chiara volontà politica di rimediare a un vuoto normativo. Già dal 2007 c’è una direttiva europea che chiedeva di adeguarsi a uno standard che è quello di riconoscere il mestiere dei lavoratori dello spettacolo.
Riconoscerlo vuol dire fare delle norme e fare delle leggi per queste categorie. Attori, interpreti, musicisti, tecnici, ecc…
Queste proposte sono al vaglio di un gruppo di lavoro ministeriale per farci avere questa legge che sarà una “legge sulla discontinuità”. La discontinuità è la natura del lavoro nostro, lavoriamo a progetto, per uno spettacolo teatrale, per un film o per la tv, per un evento. E’ veramente variabile. Il periodo che intercorre tra un lavoro e l’altro è spesso di preparazione, non di disoccupazione.
Riaperture dei teatri: come avete preso l’annuncio della riapertura dei teatri, cosa sentite nell’ambiente?
Giorgio: Con un po’ di sconcerto, impreparazione, dubbi e anche preoccupazione. Ovviamente per riaprire un teatro non è che si tira su la saracinesca e si preparano i tavoli, con tutto il rispetto per i ristoratori. È molto più complesso perché devi riorganizzare uno spettacolo, fare le prove, fare promozione. Ci sono anche compagnie che hanno provato nel frattempo, in qualche modo e quindi forse qualche spettacolo pronto c’è.
Di solito è anche legato ai teatri pubblici che hanno avuto la possibilità di finanziare queste prove ed eventualmente questi spettacoli. Diciamo che il teatro privato ovviamente è tutto fermo perché per rimettersi in movimento c'è bisogno di molto tempo.
Il nostro è un lavoro molto complesso, se penso soltanto al rischio di contagio tra gli attori... noi lavoriamo senza mascherine, ovviamente, e questo è un problema enorme.
La riapertura deve essere ovviamente graduale e soprattutto bisogna mantenere una grande attenzione nei confronti dei lavoratori che non rientreranno nel ciclo produttivo immediatamente. Alcuni potranno iniziare subito a lavorare, altri no. Poi c’è sempre il problema di riportare il pubblico in sicurezza, bisognerà riabituarlo, con dei numeri che supportino economicamente l’investimento di uno spettacolo.
Quindi confermi quello che anche noi diciamo, in pochi si potranno permettere di riaprire.
Giorgio: Io credo che questa data sia assolutamente astratta. La realtà sarà da affrontare veramente, sentendo sia i lavoratori che i produttori o gli enti che devono produrre. C’è una differenza enorme tra i privati e i pubblici perché chi ha ricevuto fondi e ristori come teatri spesso non li hanno redistribuiti tra gli attori, perché gli attori vengono pagati semplicemente quando lo spettacolo è in produzione.
Quello che è accaduto l’anno scorso noi l’abbiamo fatto notare, ed è una cosa molto grave: questi ristori sono stati ridati senza bisogno di rendicontazione. Il che vuol dire che molti teatri hanno preso dei soldi che hanno gestito magari per coprire dei buchi precedenti, magari per mantenere una struttura che non produceva nulla di artistico. Gli attori da un giorno all’altro sono rimasti a casa e a chi doveva partire semplicemente è stato stracciato il contratto.
Questo non deve riaccadere quest’anno, deve essere almeno richiesta una rendicontazione. Bisognerebbe cercare di promuovere la produzione degli spettacoli, altrimenti gli attori, i tecnici e tutti quelli che lavorano per uno spettacolo, nel momento in cui uno spettacolo non parte, non ricevono nulla.
Fabrizia: Con tutti i ristori che sono stati elargiti ai teatri, i pubblici dovrebbero essere pronti a ripartire. Loro avevano l’obbligo di produrre a porte chiuse, quindi io mi aspetto che il 26 aprile almeno i teatri pubblici siano pronti a farci vedere cosa hanno preparato durante tutti questi mesi, che spero non siano state soltanto piccole cose in streaming, perché vengono ristorati per bene.
I lavoratori invece non hanno avuto nessun tipo di tutela. È per quello che noi abbiamo insistito che venisse creato un fondo, il decreto scritturati, per quelli che erano stati mandati a casa, che avevano perso il lavoro causa Covid, per reintegrare le giornate di lavoro contrattuali perse.
Cosa ne pensate del Netflix della cultura e degli spettacoli in streaming e in tv?
Fabrizia: Sicuramente non è spettacolo dal vivo, quindi non è teatro, è audiovisivo. È inconciliabile parlare di spettacolo dal vivo e streaming. Non è una presa di posizione, è logica. Non verrà premiato lo spettacolo indipendente, interessante, di sconosciuti, ma verranno premiati quelli con i nomi più famosi. L’esperienza del campo magnetico di uno stesso luogo in cui ci si incontra e si assiste a uno spettacolo dal vivo è completamente fuori dalla portata dello streaming.
Giorgio: La televisione è un’altra cosa. La possibilità di portare un grande classico per una conoscenza che fa benissimo ad un pubblico più vasto attraverso la televisione può essere un progetto positivo.
Lo streaming è diverso, anche solo per un discorso economico e di numeri. Fanno fatica anche gli inglesi che recitano in lingua inglese e quindi hanno un pubblico mondiale, molti hanno dei numeri ancora ridicoli rispetto a quelli che forse garantirebbero una sufficienza economica. Un piccolo spettacolo senza grandi nomi altisonanti, come i numeri che ho visto per ora di alcuni spettacoli in streaming, fa veramente tanta tanta fatica. Io mi domando anche se questo modello sia semplicemente auto-sostenibile.
Invece di investire nello streaming sarebbe meglio investire nei teatri di provincia, ne abbiamo tantissimi in tanti paesi, cercando di favorire l’affluenza del pubblico che non va spesso a teatro, di fornire proprio un aiuto statale che li aiuti a portare delle compagnie grandi e piccole. Credo che avrebbe più senso.
Come può essere riconosciuto il professionismo nel settore dello spettacolo?
Giorgio: La riconoscibilità del professionismo è una delle cose principali, perché questo ha creato problemi nell’erogazione dei bonus. È importante fare un censimento e capire dei criteri che possono dimostrare chi è un professionista dello spettacolo e chi invece lavora nel mondo dello spettacolo come amatoriale o per piacere, ma non come principale attività di lavoro.
Rispetto a questo ci sono vari strumenti, uno è sicuramente relativo alla formazione, un altro è relativo alle giornate contributive dell’anno precedente, cioè quanti giorni uno è stato collocato, ma quello che abbiamo aggiunto noi è anche il concetto di reddito prevalente. Ci può essere un anno in cui un attore per mille motivi, dovuti alla sfortuna, alla malattia, alla maternità, magari non ha un numero di giornate contributive sufficiente a garantire questo status. È quindi importante capire anche rispetto allo storico quello che è il reddito prevalente.
Come mai il lavoro dell’attore storicamente non viene percepito come un lavoro serio?
Giorgio: Quando ci sono questo tipo di preconcetti dipende molto dalla non conoscenza. Molti pensano che la vita degli attori, come i miti di Hollywood, sia piena di tappeti rossi, frequentazioni, soldi, tanto tempo libero. C’è questa mitologia che però è fatta solamente da gente che non conosce.
Giustamente si parla molto di economia perché è la prima cosa che serve, però c’è anche un vuoto artistico. Non lavorare ti porta fuori allenamento, come uno sportivo, in qualche modo. C’è una parte creativa che viene in parte bloccata. Purtroppo questa è un’idea che viene dalla non conoscenza della fatica vera che si fa, sia quando si lavora che quando non si lavora.
Fabrizia: Non posso che confermare. C’è sempre la percezione che noi facciamo solo un lavoro divertente, che in parte è vero, ma per arrivare a quello ci sono tanti giorni di lavoro, studio e allenamento.
Giorgio: Un giorno alla mia famiglia dissi: siamo anche noi degli artigiani, e come un semplice fabbro, non facciamo sempre ciò che ci piace come pensa la gente. Ma dobbiamo farlo e farlo nel miglior modo possibile per tramettere qualcosa al pubblico.